L’AGGRESSIVITA’ NELLE DIVERSE FASI DELLA CRESCITA
Per aggressività o comportamento aggressivo s’intende un particolare stato d’animo su base emotiva caratterizzato da un insieme di azioni dirette a ledere o provocare danno a una persona o un oggetto, tale da infliggere sofferenze di natura fisica o morale, o danni fisici significativi.
Se rivolta verso l’esterno si definisce eterodiretta.
Quando, invece, l’aggressività è rivolta verso sé stessi si parla di comportamenti autoaggressivi, indice di una sofferenza nevrotica in cui il soggetto non trova altre forme espressive delle proprie tensioni e preferisce rivolgere verso sé stesso ferendosi.
I comportamenti aggressivi devono sempre essere oggetto di valutazione da parte degli adulti. Quando poi i comportamenti aumentano, tra aggressività ed altri sintomi, e diventano tali da invalidare la relazione con i coetanei e con l’adulto, da intralciare o condizionare il bambino o l’adolescente nello sfruttare le sue risorse personali, cognitive e affettive, allora si deve prontamente ricorrere a un trattamento psicologico o sociale.
Le prime manifestazioni di rabbia e sofferenza del neonato si ha quando ha fame, poi assistiamo alla fase oppositiva dei 2-3 anni, periodo di rilevanza per i processi di individuazione del sé e della differenziazione del bambino dalla madre. Qui si assiste alle prime crisi di rabbia, alle prime forme di opposizione alle istanze familiari. Questi comportamenti oppositivi sono da considerare fisiologici fin quando il comportamento aggressivo fa parte di un ampia gamma di manifestazioni espressive del bambino. Acquistano, invece, un valore patologico quando la risposta aggressiva diventa prevalente ed indifferenziata.
Dopo i due anni si assiste a giochi pieni di urla e di gesti violenti anche con i compagni di gioco, la distruzione intenzionale di oggetti e giocattoli.
Dopo i sei anni fino all’adolescenza l’aggressività si esprime anche nelle attività sociali, nella competizione che si sviluppa con i coetanei, nella prestazione scolastica, nell’attività sportiva, nella competizione estetica. Tutti questi fenomeni possono cadere nell’eccesso se manca il controllo degli adulti.
La teoria dell’attaccamento di Bowlby spiega come comportamento aggressivo di un bambino sia la risposta a figure d’ accudimento inadeguato con stile di attaccamento evitante o ambivalente, che non fa percepire una sufficiente sicurezza del legame affettivo.
Solitamente i genitori ambivalenti eccedono in accudimento o in rango quando non serve e non riescono ad essere normativi e accudenti quando serve, mentre i genitori evitanti eccedono nelle regole e non riescono ad essere affettivi quando serve.
Ciò induce il bambino a sviluppare una forte ansia e angoscia di perdita, per cui egli tende ad attivarsi utilizzando impropriamente comportamenti aggressivi come richiesta di vicinanza.
Basti pensare a tutti i casi in cui il genitore scambia la collera d’attaccamento del bambino per collera da sfida e anziché rispondere con l’accudimento, risponde entrando in competizione con il bambino.
Lo psicologo- psicoterapeuta può insegnare ai genitori a distinguere tra bisogni del bambino e i capricci, in cui i bambino si oppone alle regole e aiutarli a capire quando è necessario l’accudimento.
Spesso i bambini con disturbi del comportamento convivono con l’imposizione di infinite regole che non rispettano e ricevono innumerevoli punizioni dalle quali non imparano, quindi vanno ridotte le regole che devono essere poche e chiare , ma soprattutto coerenti, e vanno favoriti i momenti di scambio affettivo con la figura di attaccamento.
Al contrario i bambini adultizzati che si prendono cura del genitore, hanno bisogno di genitori che li trattano da bambini offrendo loro coccole e anche di regole per ripristinare i giusti ruoli e poteri relazionali, in cui è il genitore ad avere la responsabilità del bambino.
Con gli adolescenti, invece, bisogna negoziare sulle regole e sui divieti raggiungendo un accordo condiviso, per poi prendere provvedimenti quando i patti non vengono rispettati e la fiducia del genitore tradita.