Una riflessione sulla devianza minorile
Uno dei temi che da sempre mi appassiona è la psicologia della devianza.
Nel corso della mia esperienza professionale ho svolto, per diverso tempo il ruolo di psicologa in una comunità educativa minorile, che ospita utenti minori di sesso maschile che si trovavano in messa alla prova o custodia cautelare in struttura, proprio perchè avevano commesso un reato in età minore.
Sappiamo che il codice penale minorile tratta il reato commesso dai minori secondo un’ottica, che mira alla rieducazione, risocializzazione del reo. Crede nella forza dell’educazione, nel potere di un’ambiente rieducante. Aspetto che coincide perfettamente con la mia visione, per cui mi spendo ogni giorno di fronte alle difficoltà di una società stigmatizzante e a volte discriminante.
Visione che ho maturato nel corso del tempo.
Il mio articolo non vuole giustificare chi commette un reato, anzi io credo fortemente nel valore delle regole, dove la libertà nostra nasce dalla capacità di riconoscere e rispettare quella dell’altro.
Credo solo, che ci sono delle storie che meritano di essere ascoltate e prese in carico, e che ci sono persone che possono ricostruirsi e ripartire dopo aver scontato la pena, che è stata attribuita loro.
Ho conosciuto ragazzi che avevano commesso omicidi, che avevano una storia terribile alle spalle, fatti di traumi infantili pesanti. Ho visto con i miei occhi persone in grado di ricominciare, di ricostruirsi, famiglie in grado di perdonare.
Ho visto, invece, minori magari in comunità per reati apparentemente meno gravi rispetto a un omicidio, come lo spaccio e la dipendenza, dove però c’era meno terreno fertile, con cui lavorare.
Convinti che non c’era nulla di male in quello che facevano, che non si spiegavano perchè dover lavorare e sacrificarsi ogni giorno, quando invece si può aver tutto ciò che si vuole con attività più losche e veloci.
Difficile cambiare una mentalità così, soprattutto quando l’attività delinquenziale coincide con il “piacere” provato dalla persona stessa.
La legge processuale minorile si pone l’obiettivo di evitare la condanna del minorenne introducendo una serie di possibilità di intervento che, attivano percorsi definibili in termine di trattamento socializzante e responsabilizzante. Stiamo parlando di due importanti principi generali: la non interruzione dei processi educativi e l’attitudine responsabilizzante delle misure.
La devianza è un processo che si costruisce nel tempo e all’interno delle relazioni.
Possiamo definire la devianza come ogni atto o comportamento di una persona o di un gruppo che viola le norme di una collettività e che di conseguenza va incontro a una qaulche forma di sanzione o condanna.
Gli studi sulla devianza si dividono in : quelli che riconducono il comportamento deviante a fattori intrapersonali stabili (fattori innati, tratti della personalità), quelli che si focalizzano su fattori interpersonali (dinamiche familiari, socializzazione), e infine quelle che si concentrano su fattori sociali, attribuendo un ruolo importante alla relazione individuo- ambiente.
A quest’ultimo filone possiamo ricondurre la Teoria sociale cognitiva di Bandura.
Bandura sostiene che le persone possono agire in modo umano o inumano. Il comportamento inumano diventa possibile, quando una persona può giustificarlo.
Questa giustificazione comporta una sorta di ristrutturazione cognitiva, una sorta di giustificazione morale in cui si minimizza il danno causato all’altro e si sposta la responsabilità su un’altra persona o su un intero gruppo. Incolpare o disumanizzare la vittima è spesso un ingrediente chiave nelle azioni brutali volte a rendere moralmente accettabile qualcosa che non lo è affatto.
Possiamo concludere con una frase di Lewis che dice” Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi inizare dove sei e cambiare il finale”.
Commenti recenti